Non è mai stato facile essere giovani. La gioventù, è vero, è la stagione della costruzione di sé, nella quale si progetta il futuro, si coltivano sogni e speranze, si vive intensamente l'oggi e si immagina il domani. Ma è davvero così?
Oggi essere giovani è sempre più difficile. Viviamo in un mondo che offre straordinarie opportunità per chi nasce dalla parte “giusta”, ma è anche un mondo sempre più ineguale.
La Scuola pare avere perso la propria funzione di “ascensore sociale”. Il lavoro, per i giovani adulti, è diventato troppo spesso un miraggio o li lascia in una condizione di precarietà che non è solo occupazionale, ma inevitabilmente anche esistenziale.
Dal punto di vista psicologico gli esperti ci parlano delle nuove generazioni come di un “luogo” nel quale si concentrano paure e disinteresse e una tendenza a “consumare” esperienze anche estreme. E sempre maggiore è il numero di ragazze e di ragazzi che, concluso l'obbligo scolastico, non proseguono gli studi, non lavorano e non cercano nemmeno lavoro: vite senza progetto, risolte in un oggi privo di significato.
Non si deve mai generalizzare, ma queste tendenze sono più che riconoscibili e, in ogni caso, hanno superato il limite di guardia. Nella società che è stata definita dell'incertezza, i giovani sono i professionisti dell'incertezza.
Quando si parla di politiche per i giovani si rischia spesso di fare confusione, risolvendole in politiche per l'uso del tempo libero.
Come qualunque politica a contenuto sociale, le politiche per i giovani non possono che essere politiche trasversali, cioè capaci di intercettare e di cambiare tutti i punti sensibili nei quali si possono cogliere criticità. Un primo obiettivo cruciale riguarda la Scuola, Non si può non ripartire dalla Scuola, che rimane l'istituzione più democratica che ci sia: perché permette di superare le disuguaglianze, perché fornisce gli strumenti per “abitare” il mondo, perché è un luogo di incontri e di relazioni.
Ripartire dalla Scuola significa partire dal suo “capitale umano”: gli/le insegnanti, sostenendoli/e in un compito sempre più gravoso per tante ragioni. Ma non si può certo valorizzare la professione insegnante mettendo sul piatto due lire in più, distribuite secondo criteri omologanti, né pensando a una Riforma fatta di procedure e di adempimenti.
Un secondo caposaldo riguarda il lavoro, che è assieme diritto costituzionalmente sancito e presupposto imprescindibile per realizzare qualunque progetto di vita e, in quanto tale, non è compatibile con la precarietà, la discontinuità occupazionale, la povertà retributiva, per non parlare dell'incertezza (ed è una parola fin troppo prudente) di un futuro pensionistico.
Politiche per lo sport, per la cultura, per la cittadinanza attiva sono, poi, occasioni per mettere a reddito quei “giacimenti” di potenzialità che abbiamo il dovere di valorizzare.